Bellissimo lo smart working, il miglior binomio vita privata-professionale. Riuscire ad ammortizzare i tempi eliminando quelli relativi agli spostamenti… Tutto un mondo fantastico e iperconnesso. C’è qualcuno, però, che comincia a sollevare qualche dubbio, non sulle performance nel breve periodo del lavoro basato sul distanziamento, quanto sui contatti umani e il relativo team working.
Le nuove opportunità fornite dalla tecnologia permangono, ma come ogni cosa è caratterizzata anche da alcuni aspetti meno positivi. Parliamo, evidentemente, di una modalità di lavoro che proseguirà anche post pandemia. Gli effetti variano a seconda delle generazioni e del genere, in relazione a stili di vita culturalmente diversi.
Per il 52% delle persone in età giovanile smart working e distanziamento hanno rappresentato un’opportunità di risparmio, con abbattimento dei tempi di spostamento. Di contro, però, questi hanno manifestato una “distanza umana” con i colleghi che ha gravato comunque sull’aspetto psicologico delle singole persone. Per gli over 35, invece, il 47% ha riscontrato uno stress maggiore per l’assenza di separazione tra ambiente lavorativo e domestico. È quanto emerge da una ricerca Anra, Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili assicurazioni aziendali, che ha analizzato nel dettaglio i due lati della stessa medaglia.
Ovviamente le attuali modalità operative ricadono verticalmente su fattori storici che contraddistinguono i singoli Paesi. Nei lavoratori over 56 solo il 16% è donna. In Italia queste ricorrono maggiormente allo smart working per gestire più facilmente il rapporto tra vita privata e professionale. Tale caratteristica è più accentuata nello Stivale che altrove, coerentemente con una cultura purtroppo ancora radicalmente ancorata nella nostra società.
In conclusione, riferisce il report Anra, se è innegabile che vi siano molti vantaggi pratici nella vita quotidiana, allo stesso tempo si riscontrano degli aspetti negativi sul piano psicologico e sociale. Il digitale può fornire un enorme supporto al lavoro di squadra, ma le tecnologie possono peggiorare, o quantomeno modificare, il livello di affinità in team. I lavoratori meno giovani, inoltre, hanno riscontrato problemi nelle relazioni con clienti, partner, fornitori e colleghi. In quest’ultimo caso, però, subentra una componente culturale. La ricerca mette in risalto come, per una tradizione tutta italiana, non vi sia mai stato in generale un rapporto fiduciario tra vertici e dipendenti con una conseguente necessità di rapporto face to face che in questi casi incontra evidenti difficoltà.
I dati positivi, però, sono incontrovertibili. Anche se ogni Paese in Europa segue la sua strada. L’Italia, secondo i dati Eurostat, è la prima del Vecchio Continente per numero di ore in ufficio tra le grandi nazioni. Ma lo Stivale è l’ultimo per rapporto PIL/ora di lavoro. Ciò significa che ogni lavoratore italiano produce meno in un’ora rispetto a Germania, Francia e Spagna. È una tendenza tutta tricolore quella secondo cui stando incollati alla scrivania sotto gli occhi del capo si lavora di più. È pensiero comune ritenere che l’Italia dall’inizio della pandemia ad oggi abbia fatto smart working. Siamo sicuri? Oppure quello portato avanti è ascrivibile a telelavoro di emergenza. E qui andrebbe aperto un capitolo a parte…