Il prodotto è morto, o comunque non sta un granché bene.
Siamo in una fase storica dove sta crescendo in misura esponenziale la cultura del servizio. In primo luogo, tra i consumatori: al possesso delle cose si tende a prediligere il pagamento per il loro utilizzo. Molto citato l’esempio che “non si vendono più caldaie, ma acqua calda”.
Anche nel mondo del business, anche se con maggiore lentezza, sta accadendo la medesima cosa. E come quasi sempre accade, questa tendenza è stata cristallizzata in un termine: servitizzazione.Si tratta, naturalmente di una traduzione dal termine anglosassone “servitization”, anch’essa parola di nuovo conio che risulta dall’unione di “service” e di “ization”, che sta a indicare la messa in esercizio del servizio stesso.
Il concetto in sé non è certo nuovo. Già presente nel settore industriale con alcune iniziative alla fine degli anni ’70, la servitizzazione ha trovato la sua prima e più eclatante rappresentazione nella transizione che ha riguardato IBM negli anni ’90 quando Big Blue, da hardware vendor, si è progressivamente focalizzata sulla vendita di servizi IT.
Appare sempre più chiaramente che le componenti di servizio, legate ai prodotti, sono fattori chiave del successo sul mercato delle imprese. Vediamo perché.
Innanzitutto, per la tendenza sopra enunciata. A livello industriale, per esempio, si è sempre meno disposti a comprare una macchina, che sconta problemi di usura e obsolescenza, ma si acquistano cicli di lavoro. Si paga, insomma, per quello che la macchina fa, non per quello che è.
In questa direzione le logiche sottese a Industry 4.0, forniscono un supporto decisivo. Si pensi, per esempio ai software che consentono il dialogo Machine to Machine, alla realtà virtuale o all’IoT: garantire un’erogazione di servizi continui, puntuali e predittivi (si pensi alla manutenzione) è certamente oggi reso possibile da queste evoluzioni tecnologiche.
Questo nuovo approccio alla servitizzazione che sta interessando anche larga parte del mondo manifatturiero ha vantaggi, svantaggi e soprattutto implica profonde rivisitazioni dei modelli di business.
Partiamo dai vantaggi. La vendita di servizi, si pensi per esempio alle attività di manutenzione e aggiornamento, è una leva molto potente che lega i clienti a sé, fidelizzandoli nel tempo. Questo assicura una redditività più stabile e lunga nel tempo. Un impatto benefico si può riscontrare anche nel feedback costante dei clienti che una vendita a servizio consente. Questo può essere molto utile per ottimizzare costantemente le performance, oltre che per progettare nuove tipologie di servizio in una logica di miglioramento continuo. Un terzo aspetto positivo è legato alla crescita di reputazione dell’azienda. C’è molta letteratura sul fatto che le organizzazione che legano i propri prodotti a un’eccellente qualità di assistenza godono di una considerazione molto più alta rispetto a chi si dedica della vendita del prodotti tout court.
Pur essendo evidente che questa transizione organizzativa richieda investimenti consistenti che ripaghino nel medio-lungo periodo, anche in un Paese come il nostro, dove prevalgono le piccole e piccolissime imprese, la transizione a un approccio “a servizio” è possibile a patto che si adotti una logica di network in grado di mettere a fattor comune le risorse delle aziende che operano nelle filiere interconnesse.
Il nodo più problematico attiene, tuttavia, al terzo aspetto citato: la rivisitazione in profondità dei modelli di business. Questo aspetto si lega indissolubilmente con un cambio radicale della cultura d’impresa. Pensare in una logica di servizio è certamente disruptive per una larga fetta del nostro settore manifatturiero ancora profondamente prodotto-centrica. Vendere in una logica di servizio significa approcciare il mercato con metodi e competenze che ancora sono in fase di formazione nel settore manifatturiero. Generare consapevolezza e orientare risorse e skill verso i vantaggi della servitizzazione è una delle numerose sfide che coinvolgono il nostro tessuto produttivo. Farlo rapidamente ed efficacemente, sull’onda anche delle risorse messe a disposizione del PNRR, è cruciale per conservare la capacità competitiva dell’industria nazionale.
Il prodotto, non è “un morto che cammina”, ma se non impariamo rapidamente a valorizzarlo in un’ottica di servizio, rischia di diventarlo molto presto.