Non c’è un pianeta B. Slogan che abbiamo visto scritto sui cartelli nel corso delle numerose manifestazioni a favore dell’ambiente e contro il riscaldamento climatico. Considerando che, nonostante le lodevoli intenzioni di Elon Musk, almeno nel medio periodo non potremo affittare una bella villetta su Marte con vista sull’‘Olympus Mons (il più grande dei vulcani marziani), sarà il caso di preoccuparci seriamente dello stato di salute della Terra che, ancora per un po’, rappresenterà il nostro destino comune.
Chi lo ha fatto è certamente l’ONU che il 25 settembre 2015 ha ratificato l’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030 (Sustainable Development Goals – SDGs) che racchiude 17 obiettivi globali declinati in centinaia di sotto task.
Questo bel documento, adottando una visione olistica, si propone di definire una serie di criticità planetarie da risolvere, all’interno delle quali quelle ambientali ne rappresentano una bella fetta.
Il tema è ovviamente di una complessità enorme. Proviamo dunque a concentrarci su un aspetto fondamentale, anche se non certamente l’unico, vale a dire le emissioni di gas serra, tra i quali il famigerato CO2. È ormai riconosciuto anche dai più scettici che esista una correlazione significativa tra la quantità di gas che sta sopra le nostre teste e il riscaldamento globale, foriero di potenziali disastri climatici.
Come ridurre e poi azzerare l’emissione di gas nocivi è dunque un tema vitale. L’Europa, per esempio, ha dichiarato di voler arrivare alla neutralità energetica entro il 2050.
Il settore della logistica può ricoprire un ruolo importante in questa sfida epocale. Il perché è presto detto: le attività connesse ai trasporti e alla movimentazione delle merci sono responsabili per il 16% di tutti i gas serra che vengono rilasciati annualmente in atmosfera e che raggiungono la mirabolante cifra di 51 miliardi di tonnellate*.
Come la logistica possa contribuire in maniera significativa all’obiettivo “emissioni zero” è il nocciolo della questione. Molte e complesse le variabili in gioco, tuttavia semplificando possiamo fare riferimento a tre macroaree sulle quali è possibile intervenire per incidere sulla riduzione del footprint ambientale: le innovazioni tecnologiche, i processi organizzativi e le politiche pubbliche.
Per quanto riguarda la tecnologia, quando parliamo di logistica e trasporti facciamo riferimento soprattutto alla disponibilità di carburanti green e all’utilizzo di materiali a basso impatto ambientale per la realizzazione di mezzi di trasporto pesante. In questa direzione dei passi avanti ci sono. Al di là dell’avanzare della mobilità elettrica, oggi ad appannaggio quasi esclusivo del settore privato per un limite ancora significativo alla durata delle batterie di accumulo, esistono dei carburanti di nuova generazione molto interessanti dal punto di vista ambientale. Si pensi, ad esempio, ai camion con motore a LNG (Liquid Natural Gas) o a carburanti basati su biometano liquefatto prodotto dagli scarti dell’industria zootecnica. Certo, i costi di questi mezzi sono più onerosi (un camion a LNG è mediamente più caro del 30% rispetto allo stesso mezzo alimentato con diesel), tuttavia tra incentivi e politiche pubbliche a sostegno, si spera che tale gap si possa presto ridurre, favorendo così una conversione più rapida di una parte del parco di mezzi circolanti su gomma.
Fondamentali poi le innovazioni tecnologiche dal punto di vista dei materiali e delle soluzioni ingegneristiche. È evidente che per essere green i mezzi di trasporto (camion, ma anche aerei, navi e treni) devono essere più leggeri e dotati delle tecnologie più avanzate che consentano bruciare i carburanti (o sfruttare le fonti che li fanno muovere) nel modo più efficiente possibile.
Anche dal punto di vista organizzativo ci sono ampi margini di miglioramento nel settore della logistica. Se è evidente che le catene del valore sono ormai per definizione globali (si pensi alla fornitura delle materie prime), è altrettanto vero che, favorita anche dalla pandemia, si sta assistendo alla creazione di supply chain sempre più corte. L’obiettivo è chiaro: cercare di ridurre le criticità legate alle turbolenze globali e alle oscillazioni spesso repentine dell’offerta di materie prime. Accorciare le catene del valore, e dunque le distanze, è di per sé un fattore che aiuta la riduzione delle emissioni di gas serra causati dai trasporti.
Molti altri sono naturalmente gli aspetti organizzativi degni di nota. Per citarne un paio molto conosciuti, la saturazione dei mezzi di trasporto e l’ottimizzazione degli itinerari. Interessanti sviluppi in questa direzione sono determinati dalla disponibilità di software che utilizzano l’Intelligenza Artificiale: le imprese della logistica hanno oggi la possibilità di pianificare con maggiore efficienze distanze e carichi in modo da ridurre il numero dei viaggi, con un benefico ritorno sia dal punto di vista economico che ambientale.
Infine, il ruolo della mano pubblica, fondamentale per creare le condizioni per una transizione green del settore logistico. Le iniziative di sostegno per la conversione dei mezzi circolanti sono fondamentali. È essenziale colmare quei gap economici ancora sensibili tra l’acquisto di un mezzo tradizionale (diesel o benzina) e quello di uno a basso impatto ambientale. In altre parole, è cruciale rendere vantaggioso per le aziende del settore diventare virtuosi dal punto di vista ambientale.
Esiste poi un aspetto infrastrutturale enorme che coinvolge la pubblica amministrazione: la pianificazione di un sistema di mobilità integrato (snodi intermodali, potenziamento del trasporto ferroviario, collegamenti tra hub, adeguamento dei porti, ecc.), tema costantemente dibattuto ma mai affrontato seriamente. Da questa capacità (e volontà) della PA di assumere finalmente un ruolo guida nella progettazione di una mobilità sostenibile dipende una larga parte delle opportunità di transizione verso una logistica green.