Questo è il momento, siamo al dunque. Per cosa? Per fare un balzo in avanti nel percorso di digitalizzazione del Paese che stiamo faticosamente rincorrendo, da buoni ultimi in Europa, da troppi anni. Lo scenario è profondamente mutato e, con il diffondersi dei timori legati alla pandemia, sono finalmente state definite le poste da investire (intese come soldi) legate al tanto dibattuto Recovery Plan.
Secondo la versione del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – #NEXTGENERATIONITALIA”, presentato al Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2021, sono 46,18 i miliardi di euro destinati a digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura. Si tratta di circa il 20% dell’intero plafond destinato all’Italia dall’Europa. Dove sono destinati questa pioggia di risorse finanziarie? Secondo il documento governativo sono tre i focus di indirizzo: 1. Digitalizzazione, innovazione e sicurezza della PA; 2. Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; 3. Turismo e cultura 4.0.
Pur essendo evidente che i tre ambiti si sostengono a vicenda, un tessuto produttivo non sta in piedi se la PA non è efficiente e se il livello di formazione e le skills non sono adeguate, ci soffermeremo qui in particolare sulle iniziative dedicate al sistema produttivo.
Avremo infatti nei prossimi mesi un’opportunità straordinaria di iniettare innovazione nel nostro sistema produttivo per renderlo in grado di sostenere le sfide globali.
Circa 26 miliardi di euro sarebbero infatti indirizzati per fornire un shock benefico alle nostre imprese ed accrescere la cosiddetta digital intensity (vale a dire la propensione a introdurre nei processi tecnologie innovative) che oggi è a dir poco scarsa. Si pensi che il nostro sistema produttivo ha un tenore di minori investimenti su questo aspetto valutabile in 2 punti di PIL, un’enormità.
Un primo capitolo di impiego dei fondi è quello legato alla connettività, senza la quale dati, informazioni e merci non possono viaggiare alla velocità che un’economia sempre più legata all’on-demand richiede.
Reti in fibra ottica, 5G e satellitare sono gli investimenti previsti per creare quell’infrastruttura di connessione digitale che possa finalmente collegare le imprese tra loro, a livello nazionale e internazionale, e con la Pubblica Amministrazione, per lo snellimento delle incombenze burocratiche, fiscali e giuridiche. Oggi l’Italia, secondo l’ultimo indice DESI, si posiziona al 17° posto (su 28 Paesi EU) in fatto di connettività.
Un secondo aspetto, già noto ai nostri imprenditori e contenuto anche nel programma “Transizione 4.0”, attiene agli incentivi che intendono favorire la transizione digitale (e green) dei processi di progettazione, produzione e distribuzione dei sistemi manifatturieri.
Con una forza finanziaria che il vecchio piano Industria 4.0 non aveva, si riserveranno dunque i 26 miliardi di euro per stimolare la domanda da parte delle imprese di beni strumentali e non strumentali per la digitalizzazione dei processi e l’introduzione di macchinari in un’ottica di efficientamento produttivo ed energetico.
Resteranno naturalmente le forme di sostegno alle attività di Ricerca e Sviluppo.
Il nuovo piano “Transizione 4.0” adotta un’ottica pluriennale per favorire i piani di investimento delle imprese. Dato particolarmente interessante è il significativo rafforzamento delle aliquote e dei massimali per le agevolazioni che dovrebbe essere accompagnato da criteri più semplici e rapidi per accedere ai vantaggi fiscali. Si amplia, infine, il bacino degli investimenti soggetti ad agevolazioni, in particolare relativamente a beni strumentali immateriali (software, servizi).
Verrebbe da dire, se non ora quando. A fronte di una sofferenza che perdurerà certamente tutto il 2021, le imprese italiane hanno un’occasione storica per colmare il gap digitale, e dunque di competitività, con il resto delle economie avanzate. Certo, molto dipenderà anche da come la mano pubblica gestirà questo fiume di denaro. Ma questa è un’altra storia.