Se il PIL italiano piange, alcuni settori di eccellenza del manifatturiero, in controtendenza, non solo tengono ma addirittura crescono.
A fronte di una stima della Commissione Europea che stima nel 2020 una contrazione del PIL per il nostro Paese del 9.5% (le agenzie di rating, tipo Fitch, rincarano la dose dicendo del 10%), specifici comparti della meccanica che guardano ai mercati internazionali sembrano continuare la loro ascesa.
Il caso più eclatante è quello dei costruttori di macchine automatiche per la dosatura, il confezionamento e l’imballaggio. L’epicentro di questo caso virtuoso è l’Emilia Romagna dove si concentrano circa 250 aziende (sulle 600 complessive che operano in Italia) che da sole producono un fatturato che supera i 5 miliardi di euro sugli 8 miliardi complessivi generati dal settore.
La cosiddetta “packing valley”, concentrata tra Parma e Bologna, è riuscita a crescere anche in un periodo critico come quello pandemico grazie a una dimensione internazionale che, costruita negli anni, ha permesso una distribuzione della domanda che oggi si colloca per l’80% fuori dai confini nazionali.
Naturalmente hanno contributo anche i settori di destinazione delle macchine realizzate. Alimentare e Pharma, settori che non si sono mai fermati durante il lockdown, sono infatti due canali che tradizionalmente determinano gran parte della domanda.
Ma non è naturalmente tutto merito di contingenze più o meno fortunate legate alla collocazione sul mercato.
Le imprese del settore hanno saputo investire nel tempo, puntando su due asset strategici: la creazione di aggregazioni e investimenti in innovazione tecnologica. La cura di questi due aspetti ha contribuito a creare dei veri e propri “campioni mondiali” del settore.
Se le aggregazioni, hanno contribuito ad accrescere la rapidità di inserimento delle aziende del packaging nella maggior parte delle nicchie di un mercato fortemente diversificato, il focus sull’evoluzione in ottica digitale è stata la leva decisiva che ha dato frutti sia nell’ottimizzazione dei flussi di processo (per esempio attraverso control room guidate dall’Intelligenza artificiale e utilizzo dell’addictive manufacturing) sia nel gettare le basi per la creazione di vere e proprie smart factory del packaging attraverso l’uso di big data, IA, cloud e machine learning.
Un esempio tra i più semplici ma che dà il senso di come grazie a investimenti mirati è stato possibili accrescere i risultati anche in un periodo critico è quello della bolognese IMA. Tra gli attori mondiali più importanti del settore, durante la pandemia, per garantire la continuità del business, ha avviato il Remote Fat (Factory Acceptance Tests), progetto apripista nel mondo del packaging. In pratica, l’azienda ha gestito la fase di test delle macchine utilizzando delle piattaforme web che consentono ai clienti di verificare da remoto che gli impianti corrispondessero ai requisiti previsti, aggirando così le restrizioni globali relative agli spostamenti. L’implementazione della soluzione mostra una capacità di reazione veloce che nasce da una cultura dell’innovazione, tipica del settore, che non si improvvisa ma che deve essere coltivata nel tempo.
Ed è proprio questa direzione che auspicabilmente si dovrebbe indirizzare la politica industriale del nostro Paese rendendo disponibili risorse e strumenti che, accompagnati dalla definizione di normative snelle e facilmente implementabili, potrebbero facilitare enormemente la spinta all’innovazione in tutto il tessuto produttivo, proprio come avviene da qualche anno nella “packing valley”.