Ogni attività umana comporta dei rischi. Il loro calcolo è spesso complesso, ma diventa essenziale se si tratta di attività nevralgiche per i sistemi produttivi. La logistica, il “sistema nervoso globale” alla base delle moderne economie, è una di quelle attività che dovrebbe considerare il risk management come un vero e proprio mantra.
La pandemia che ha coinvolto il mondo ad inizio 2020 è un caso certo straordinario ma sintomatico. McKinsey & Company in “COVID-19 Briefing Note” fa notare come la riduzione delle capacità di produzione, dovute a carenze di materiali e manodopera, le inerzie di processo della logistica e il crollo della domanda in alcuni settori ha messo sotto forte stress i sistemi di suypply chain.
Il punto non sta dunque tanto nella reazione, certo importante ma “i buoi” a questo punto “sono già scappati dalla stalla”, quanto nella proazione.
L’approccio che può fare la differenza in termini di competitività è innescare un processo di risk assessment che consenta alle imprese logistiche di mappare la propria catena per individuare e analizzare i potenziali rischi connessi all’attività. Questa azione è fondamentale per definire un piano di risk management solido per fronteggiare i pericoli. Quali? In un mondo sempre più interconnesso sono decisamente molti: emergenze sanitarie (vi ricorda qualcosa?), calamità naturali, cambiamenti climatici, instabilità politica ed economica, variazione dei prezzi e della domanda. Ci fermiamo qui anche se si potrebbe andare avanti ancora a lungo.
Definire dei piani B, e magari anche C, è essenziale per garantire quella continuità del business che viene pretesa da imprese e consumatori.
L’introduzione di figure specializzate nel risk management diventa quindi una necessità cogente per chi intende affrontare efficacemente gli scenari dinamici sui quali si muoveranno sempre di più i sistemi economici transazionali.
Alla domanda se dunque convenga assumere un risk manager nella propria organizzazione, Deloitte, in una recente indagine, risponde così: “Abbiamo rilevato che l’85% delle catene di approvvigionamento globali ha subito almeno un’interruzione delle forniture negli ultimi 12 mesi. Fortunatamente, chi ha saputo coniugare risk management e supply chain è riuscito ad attivare una gestione proattiva del rischio: chi lo ha fatto ha dichiarato di aver speso il 50% in meno di quanto non sarebbero stati i costi economici legati all’interruzione”.
Le imprese che hanno acquisito la certificazione UNI EN ISO 9001:2015 sono culturalmente avvantaggiate in questa direzione. La norma infatti parla chiaramente di un vero e proprio cambio di atteggiamento nella conduzione dell’impresa. Da un’approccio fondato sulla velocità di reazione si passa al concetto di proattività, impostando le strategie sugli eventi futuri e sui piani di prevenzione dei rischi potenziali.