Chi ha un carattere sostenibile resiste meglio alle crisi e ne esce prima. Se c’è una lezione che ha impartito il Covid è che nella vita di tutti i giorni, le persone, ma anche e soprattutto le aziende, hanno l’obbligo di agire secondo criteri sostenibili.
La sensibilità al tema è mutata nettamente dopo il primo trimestre del 2020. Le tendenze di investimento hanno virato privilegiando quelle aziende con forti basi ESG (Environmental, Social, Governance).
La sostenibilità aziendale impatta nella vita quotidiana molto più di quanto si possa pensare. La tendenza pre-Covid, anche grazie ad una forte attenzione mediatica, era improntata sull’ambiente, l’inquinamento, sul concetto di economia green. L’aspetto “pianeta” era enormemente preso in considerazione, ma il principio di sostenibilità si presenta assai più ampio, partendo sì dall’impatto di ogni singola azione sull’ambiente, ma anche sulla comunità, sulla solidità finanziaria della singola impresa.
Un’analisi del Sole 24 Ore rivela, però, che se è pur vero che l’accortezza (o preoccupazione) al green risulti comunque aumentata, la contrazione dei fatturati dovuta al lockdown ha avuto un impatto pessimo sulle possibilità di investimento. Il crollo del tasso occupazionale, la riduzione dei consumi e l’enorme incertezza per il futuro hanno stravolto le priorità delle aziende (in particolare delle più piccole). Il tema della sostenibilità, per certi versi, è diventato un vorrei ma non posso. La coscienza ambientale è ancor più presente nelle singole persone, ma si scontra con le possibili allocazioni di risorse. Perché non basta parlare di green per esserlo.
Di contro, quando il bambino tocca il fuoco e si brucia impara a non farlo più. La straordinarietà di questo periodo a livello mondiale ha fatto sì che le aziende con una visione a breve termine avessero enormi difficoltà, più di quelle che hanno attuate strategie lungimiranti, fino anche a morire. Adesso in molti la lezione sembrano averla imparata e cercano di prevenire eventuali rischi futuri allocando tempo e risorse su piani di sostenibilità a lungo termine.
Ma perché chi era strutturato su solide basi ESG sta affrontando meglio la crisi?
Perché investire in sostenibilità vuol dire ridare qualcosa alla comunità da cui spesso si prende, vuol dire arricchire il territorio con nuove risorse. L’azienda forte in un contesto forte è sempre più resiliente di un’azienda forte in un contesto debole. Perché le persone e le imprese attorno ad essa subiranno meno danni dalla crisi che li accomuna e allo stesso tempo creeranno un indotto più solido con una propensione alla spesa e agli investimenti più elevata, con redditi più alti e risorse che durino nel lungo periodo.
Ma non solo, l’azienda che oggi viene definita sostenibile è un’impresa che ha un’ottima reputazione verso tutti gli stakeholders, tra questi ci sono anche le banche. In un periodo caratterizzato da un verticale crollo dei consumi, la liquidità si è rivelata un ulteriore cappio al collo. Nel lockdown si è innestato praticamente un circuito sanguinoso in cui la comunità non acquistava beni e servizi, il successivo crollo delle entrate per le aziende generava un ritardo (o annullamento) dei pagamenti verso fornitori creando una contrazione dell’economia a 360 gradi.
Secondo un rapporto della Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, ad inizi di giugno i prestiti sopra i 25mila euro chiesti alle banche si attestavano intorno alle 50mila domande. Mentre quelli al di sotto dei 25mila, arrivavano a 300mila. A queste vanno aggiunte le rinegoziazioni dei finanziamenti con annessi aumenti di liquidità o prolungamento delle scadenze.
Avere una reputazione di buon pagatore, ribadendo il concetto di sostenibilità a 360 gradi, aiuta.
E può fare la differenza tra una crisi superata e una saracinesca abbassata.