Le macchine a vapore, l’invenzione della stampa, la macchina di Turing, l’Addictive Manufacturing? Possiamo accostare quest’ultima innovazione a quelle che hanno cambiato sostanzialmente la storia del progresso industriale?
Il dibattito è aperto ma, certamente, la diffusione di questa modalità produttiva ha impatti molto rilevanti.
Ma prima cerchiamo capire di cosa si tratta. L’Addictive Manufacturing è una tecnica che permette di ottenere prodotti e manufatti tridimensionali attraverso la generazione e seguente addizione di strati successivi di materiale. Funziona quindi al contrario rispetto alla tecnica tradizionale che opera per sottrazione dal pieno attraverso, per esempio, fresatura o tornitura.
Questo metodo è reso possibile dall’innovazione portata dalla stampa 3D. Il processo di produzione additiva ha come input la progettazione CAD dell’oggetto tridimensionale che poi, attraverso opportuni software, viene convertito in formato STL che prevede la scomposizione dell’oggetto in strati (layer). Questi file sono leggibili dalle stampanti 3D che per mezzo di getti di materia (al posto dell’inchiostro), creano l’oggetto.
Cosa cambia? Parecchio. Innanzitutto, si dà spazio all’innovazione e alla flessibilità progettuale considerando che non esistono più vincoli rispetto alle forme che possono essere create.
A ciò si aggiunge che, con la possibilità di stampare un prodotto composto da più parti già assemblato, si abbattono i costi della manodopera rispetto a una filiera tradizionale accelerando così il time-to-market e, quindi, il livello complessivo di capacità competitiva.
Addictive Manufacturing e stampa 3D rendono di fatto equiparabile economicamente creare un singolo oggetto come migliaia, mettendo in discussione il concetto stesso di economia di scala.
L’eliminazione degli scarti produttivi è poi un’ulteriore leva che, incidendo sulla riduzione dei costi, ha un effetto positivo anche sulla sostenibilità ambientale del processo produttivo: nulla da smaltire e riciclare.
Vantaggi ancora dal punto di vista della flessibilità e delle personalizzazioni dei prodotti.
L’utilizzo dell’Addictive Manufacturing, infatti, rende possibile, all’interno di produzioni su larga scala, creare soluzioni con le caratteristiche “custom” richieste dai clienti senza la necessità di sostenere costi aggiuntivi o di rivedere le pianificazioni di produzione.
Che dire poi dell’opportunità di sfruttare Internet per mandare, per esempio, i file di progettazione in qualunque sito del proprio network industriale, o in società di service specializzate, dove è più conveniente e “vicino al cliente” realizzare la produzione.
L’Addictive Manufacturing, se si consoliderà su larga scala, determinerà certamente un impatto sulle forme di organizzazione delle imprese che per mantenere le proprie posizioni nel ranking competitivo dovranno operare prioritariamente su due fronti: accelerare drasticamente il proprio percorso di digitalizzazione per orientare concretamente i processi organizzativi in modalità industry 4.0 e, parallelamente, acquisire nuove competenze, in particolare spostandole a monte sulla valorizzazione delle attività progettuali che diverranno cruciali per rispondere efficacemente alle esigenze del mercato.
Addictive Manufacturing. Una vera rivoluzione dunque? Beh, se non lo è, ci è molto vicina.