La casa, per molti, torna ad essere anche il proprio ufficio. Nello scenario della seconda ondata si
ripresentano anche tutti gli aspetti, positivi e non, dello smartworking. Con una differenza: questa
volta lo conosciamo meglio e abbiamo più elementi per comprenderne rischi e benefici.
Partiamo dalla produttività. Se i datori di lavoro prima di questo 2020 temevano un calo sul piano
delle performance per il lavoro da casa, possono star tranquilli (forse solo per quello). Secondo
uno studio di Microsoft “Work.Reworked”, condotto su oltre 600 manager e dipendenti di grandi
imprese italiane, l’87% degli intervistati ha evidenziato una produttività pari o superiore al lavoro
pre-pandemia. Il 71% inoltre ha evidenziato che le nuove modalità ibride comportano evidenti
risparmi in termini di costi e tempi. E fino a qui cose conosciute ai più.
Ma se luccica non è detto che sia oro…Nonostante l’utilizzo di nuove piattaforme e sistemi di
connessione abbia portato ad un impiego più deciso di alcune tecnologie, l’innovazione in ambito
tech pare si sia ridotta. Lo studio ha infatti evidenziato un calo dal 40 al 30% di quest’anno dei
manager che ritengono che la propria azienda possieda una cultura innovativa. La percezione nello
stesso ambito di prodotti e servizi è calata più o meno in ugual proporzione passando dal 56% del
2019 al 47 del 2020.
E alla salute mentale dei lavoratori chi ci pensa?
In questo 2020 è stato oggetto di analisi anche l’aspetto mentale delle persone. Perché la
riduzione dei costi e dei tempi di spostamento rappresentano un fattore pro. Ma è anche vero che
confondere casa e ufficio non mette a proprio agio le persone. L’influenza negativa che il Covid sta
avendo sulla salute mentale gode di proporzioni ben più grosse di quanto si possa immaginare.
L’impatto psicologico avverso è diffuso nel 78% degli addetti a livello mondiale e nel 65% dei
professionisti italiani. Lo dice uno studio condotto da Oracle e Workplace Intelligence (società di
consulenza e ricerca nel campo delle risorse umane) che ha coinvolto fra luglio e agosto oltre
12mila persone (di età compresa tra 22 e 74 anni) fra dipendenti, manager, manager delle Hr e top
executive in 11 Paesi, Italia compresa.
Ce n’è per tutti i gusti, non solo nella vita professionale. Secondo lo studio, infatti, nell’85% dei casi
a livello mondiale e nel 78% in Italia il malessere psicologico ha determinato problemi anche nella
sfera privata delle persone. La depressione da assenza di socializzazione, la mancanza di equilibrio
tra lavoro e vita privata e il maggiore stress determinano un rischio sempre più alto di burn-out dei
dipendenti (mica poco come aspetto negativo dello smartworking).
Nel 40% dei casi esaminati le persone hanno riferito di problemi del sonno, mentre il 35% ha
dichiarato di aver lavorato oltre 40 ore in più per ogni mese (sempre da remoto).
Chi può venirci in aiuto? Ancora una volta l’intelligenza artificiale, oltre che un vaccino quanto
prima…
Cosa potrà mai fare una macchina per una persona in stato psicofisico precario?! È la domanda
che si sono posti nel team di Oracle Italia. Eppure il 76% dei campioni intervistati vorrebbe che le
aziende offrissero un supporto tech per la propria salute mentale. Si tratterebbe sostanzialmente
di avviare delle chatbot terapeute istantanee in cui creare una vera e propria free zone per i
lavoratori, all’interno della quale questi ultimi si sentirebbero liberi di parlare del proprio stato
psicofisico attenuando così eventuali malesseri dettati dall’homeworking.
A leggerlo si storce il naso… Ma i dati dicono che è possibile, spiegano da Oracle Italia.
L’intelligenza artificiale può aiutare la salute mentale dei lavoratori costituendo a tutti gli effetti un
interlocutore; è stata già sperimentata positivamente come strumento per gestire molti temi
inerenti le risorse umane e si tratta ora di utilizzarla e affinarla, sotto forma di app e servizi digitali,
per il benessere delle persone.