In questo periodo storico assistiamo all’incontro dialettico tra il desiderio di ripresa economica da “dopo pandemia”, con qualche segnale incoraggiante in diversi settori (soprattutto quelli ad alta digitalizzazione), e una crescente attenzione alla sostenibilità, grazie ad una sempre maggiore diffusione di consapevolezza sulle grandi sfide ambientali e sociali, a cui gli assetti economici del presente e del futuro devono necessariamente guardare con attenzione.
Il termine “economia”, coniato da Senofonte nella Grecia antica, significa letteralmente “arte della gestione domestica” e, in perfetta coerenza con l’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco che fa riferimento al pianeta Terra come la nostra “Casa Comune”, ci ricorda che dobbiamo oggi dare ascolto ad una casa che dopo un paio di secoli di forsennato sviluppo ha cominciato ad inviare inequivocabili segnali di fragilità e di instabilità.
Per gestire l’economia domestica della casa planetaria del XXI secolo abbiamo dunque bisogno di una nuova generazione di manager pronti a prestare attenzione ai bisogni di tutti i suoi abitanti, in grado soprattutto di leggere ed elaborare i dati per promuovere nuovi modelli di sviluppo sostenibili.
Come osservato da Kate Raworth nel suo celebre libro “L’economia della ciambella” (www.edizioniambiente.it), nel corso degli ultimi 60 anni – sebbene la popolazione terrestre sia abbondantemente cresciuta del 40% in breve tempo – si sono verificati straordinari passi in avanti nel benessere umano, nelle aspettative di vita, nella lotta alla povertà estrema, nella cura di alcune malattie, nell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici.
La medaglia della crescita forsennata ha però un rovescio molto pesante. Tra gli esempi citati da Raworth ricordiamo che una persona su nove nel mondo oggi non ha abbastanza cibo, solo nel 2015 sei milioni di bambini sotto i 5 anni sono morti per malattie facilmente curabili, due miliardi di persone vivono con meno di 3 dollari al giorno e un giovane su otto non è in grado di trovare un lavoro.
La crisi finanziaria del 2008 si è propagata a tutta l’economia globale togliendo a milioni di persone casa, lavoro, risparmi e futuro, incentivando a dismisura le diseguaglianze, al punto che nel 2015 l’1% delle persone più ricche del pianeta deteneva più ricchezze del restante 99%.
Pessime le conseguenze sull’ambiente naturale e, se non invertiamo la rotta, nel giro di pochissimi anni il 40% della superficie agricola mondiale sarà seriamente degradata, nel mare ci sarà più plastica che pesci e due persone su tre entro il 2025 si troveranno a “vivere” in regioni affette da scarsità idrica. Un quadro che l’autrice – docente di economia alla Oxford University e non un’attivista radicale – supporta con fonti autorevoli, provando ad immaginare l’assetto mondiale dei prossimi 10-12 anni.
La popolazione globale che oggi ammonta a 7.3 miliardi potrebbe arrivare a 10 miliardi entro il 2050, e anche una piccola crescita del PIL globale sarà sufficiente a favorire l’espansione della classe media (in grado cioè di spendere tra i 10 e i 100 dollari al giorno) specialmente in Asia, passando dagli attuali 2 miliardi a 5 nel giro di una dozzina d’anni, causando un’impennata nella domanda di materiali da costruzione, di cibo e altri prodotti di consumo, con ulteriore impatto sulle risorse naturali.
In quest’ottica Raworth smonta pezzo per pezzo le teorie economiche ottocentesche su cui si basa l’attuale economia della crescita (insegnate ancora oggi), per suggerire un nuovo approccio comportamentale più sostenibile. Indica i passaggi fondamentali per liberarci dalla nostra dipendenza della crescita, riprogettare il denaro, la finanza e il mondo degli affari per metterli al servizio delle persone.
L’obiettivo è un’idea di economia circolare capace di rigenerare i sistemi naturali e di ridistribuire le risorse, consentendo a tutti di vivere una vita dignitosa in uno spazio sicuro ed equo. Insomma una golosa ciambella, messa a punto da nuovi economisti che, interpretando correttamente i dati di cui disponiamo, siano in grado di realizzare e diffondere nuovi modelli di sviluppo, adeguati alle improcrastinabili necessità del contesto.