Identificare con precisione il ruolo dell’IT nel percorso che molte aziende dichiarano di avere iniziato per misurare e compensare l’impatto ecologico, aumentando in questo modo la consapevolezza in tema di sostenibilità, è l’obiettivo di una ricerca promossa dal colosso della consulenza aziendale Capgemini che, nel 2020, ha interpellato 1000 organizzazioni con un fatturato superiore al miliardo di dollari, per analizzare le loro prospettive in tema di IT sostenibile in diversi settori produttivi.
Il quadro che emerge mette in rilievo come circa la metà delle aziende interpellate dichiari di avere sviluppato un approccio operativo orientato alla sostenibilità ma che, in realtà, meno di una su cinque sia effettivamente dotata di una strategia IT sostenibile, con obiettivi, fasi e risultati misurabili e confrontabili.
Settori come quello della produzione e distribuzione di energia, il socio-sanitario e “il pubblico” registrano una consapevolezza dell’impatto ambientale delle proprie attività di Information Technology superiore al 50% (fino a quasi il 60%), ma per trovare un efficace approccio strategico, superiore alla media del 18%, bisogna guardare a banche, assicurazioni e telecom, dove la sostenibilità dell’IT, grazie anche a prospettive precise e piani ben delineati, rientra meglio nelle fasi organizzative con una migliore – seppur minima – riduzione dell’impatto ambientale.
Ciò che paradossalmente accade è che la recente spinta alla digitalizzazione, riducendo in molti casi l’impronta ecologica di prodotti e processi, è stata spesso confusa o scambiata come la strategia stessa per migliorare le performance di sostenibilità, non considerando che tutto l’hardware IT, le reti e i sistemi di comunicazione, i software di elaborazione dati e il cloud, a loro volta sviluppano un nuovo impatto ambientale che va misurato, gestito, ridotto e compensato.
Il 57% degli intervistati era addirittura ignaro dell’impronta di carbonio dell’IT della propria azienda, e solo un’azienda su tre è al corrente che la sola fase di produzione di device portatili come smartphone e tablet abbia una carbon-footprint più elevata rispetto a quella totalizzata durante tutto il ciclo di vita e di utilizzo di questi prodotti.
In un altro focus avevamo visto che produrre un grammo di smartphone (2 anni di vita media) richiede un consumo di energia 80 volte superiore a quello che serve per produrre un grammo di auto a benzina e, se consideriamo che l’89% delle aziende ricicla meno del 10% del proprio hardware IT, c’è davvero di che preoccuparsi.
Le tonnellate di tecno-rifiuti prodotte nel 2019 sono state 53.6 milioni, con un incremento previsto del 21% entro il 2025 se non si corre ai ripari in modo organico, entrando anche nel merito del ciclo di utilizzo dei metalli rari, dell’acqua, dell’energia legate alla produzione e all’utilizzo delle tecnologie digitali.
Secondo quanto dichiarato dalle stesse aziende le principali difficoltà incontrate per un approccio strategico alla sostenibilità del proprio dipartimento IT, riguardano la carenza di competenze specifiche (risorse umane), la mancanza di adeguati strumenti di misurazione dell’impatto ambientale, i costi troppo alti per attivare procedure organiche, il rischio di incidere negativamente sulla produttività e la difficoltà nell’identificare con precisione gli ambiti di intervento.
D’altra parte (sempre facendo riferimento all’analisi del Capgemini Research Institute), le aziende che sono state in grado di implementare un IT sostenibile hanno “portato a casa” un risparmio in termini di imposte (per il 44% delle imprese), un miglioramento nella customer satisfaction (nel 56% dei casi) e un migliore punteggio nell’ambito delle attività di gestione finanziaria denominate ESG (Environmental, Social Governance) legate cioè all’investimento responsabile rispetto all’ambiente, alle dinamiche sociali e di governance.
Il ruolo dell’IT in questa fase è duplice: può intervenire su sé stesso, attraverso strumenti diagnostici e di misurazione, migliorando le performance ambientali, e dotare le organizzazioni di un’architettura software sostenibile per accelerare i percorsi di decarbonizzazione delle aziende, con positive ricadute in termini economici, di reputazione e, come dicevamo qui sopra, di soddisfazione del cliente e degli stakeholder.
Ad oggi solo il 23% delle aziende interpellate misura le proprie emissioni di gas serra e, di queste, solo il 27% è in grado di misurare il costo del carbonio per le operazioni IT in modo standardizzato, replicabile e confrontabile: ecco perché è quanto mai necessario accelerare il passaggio a modelli di business che facciano leva sull’IT sostenibile.